Il contratto di lavoro a tempo indeterminato è sicuro?

Contratto di lavoro a tempo indeterminato

Il famoso posto fisso fa gola a molti, se non a tutti, soprattutto in un contesto di precarietà e disoccupazione come quello odierno. Le ultime modifiche legislative, però, hanno reso il posto fisso… Un po’ meno fisso. A dimostrarlo sono parecchi casi specifici. La domanda allora sorge spontanea: il contratto a tempo di lavoro indeterminato è veramente sicuro?

Contratto a tempo indeterminato e Jobs Act

Il Jobs Act si è reso protagonista di una profonda trasformazione del mercato del lavoro. A prescindere dalle conclusioni di tipo politico, si può affermare che abbia contribuito a migliorare alcuni parametri, tra cui il numero assoluto degli occupati. Ha tuttavia prodotto alcuni effetti collaterali. Per alcuni si tratta dell’inevitabile e giusto prezzo da pagare, per i detrattori di un vero e proprio pasticcio.

Il riferimento è al contratto a tutele crescenti, che ha sostituito nei fatti il contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ufficialmente, è una declinazione abbastanza esatta del concetto di “posto fisso”. Nella realtà, pone in essere alcune pericolose derive, un certo numero di rischi in grado non solo di aumentare il senso di precarietà ma anche di mettere in serio pericolo i lavoratori.

Lavoro subordinato con libertà di licenziamento

Un caso che ha fatto molto discutere, riportato tra le altre cose da BiancoLavoro, ha come protagonista tale Paolo Pigna di Tolmezzo, che è stato licenziato pochi mesi dopo essere stato assunto con il nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato (a tutele crescenti). In estrema sintesi, l’azienda, sebbene abbia giustificato il tutto con un improvviso calo di lavoro, ha goduto dei benefici fiscali stabiliti dalla riforma, per poi “sbarazzarsi” del lavoratore.

Tutto legale. Dal punto di vista normativo, il titolare poteva fare ciò che ha realmente fatto. Ma se è vero che ha violato la legge, allora è quest’ultima ad avere qualcosa che non va. Il caso è stato commentato dal ministro del lavoro Giuliano Poletti, che ha definito la scelta del datore di lavoro come “irrazionale”.

Ha suscitato scalpore anche il commento di Pietro Ichino, uno dei più famosi giuslavoristi italiani. In estrema sintesi, l’esponente PD ha ammesso la correttezza formale del gesto, pur relegandola nella categoria delle eccezioni e dei casi limite. Il licenziamento post-assunzione a fini fiscali non desterebbe preoccupazioni perché, proprio come ha dichiarato il ministro, è controproducente.

“Se un lavoratore è competente e professionalmente affidabile, è difficile che uno sgravio contributivo temporaneo basti per fargli preferire un lavoratore meno competente e meno affidabile” ha affermato Ichino.

Non c’è dubbio: il commento ha una sua logica. Pone in essere, tuttavia, un corollario dai risvolti pessimi. La tutela dei lavoratori è garantita non tanto dalla legge quanto dal buon senso dei datori di lavoro. Le garanzie sono demandate, certo non nella loro totalità, alle valutazioni dei singoli, che sono potenzialmente fallaci. Nulla di preoccupante, se non fosse che il nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato è, almeno in campo privato, il non plus ultra della stabilità nel mercato di lavoro italiano.