Pagamento con i voucher: come funziona?

Voucher

I voucher, ufficialmente “buoni lavoro”, sono al centro di aspre polemiche. Il pagamento in voucher, definito da più parti politiche come uno strumento di “schiavismo”, o semplicemente utile a contrarre ulteriormente i diritti dei lavoratori, è andato incontro a una crescita ipertrofica durante tutto il 2016. L’abnorme richiesta di voucher ha messo in allarme anche i sostenitori dell’iniziativa, segnalando abbondantemente un uso perlomeno non consono. Ma cosa sono esattamente i voucher? Rappresentano veramente un arma contro i lavoratori? La verità sta nel mezzo, come al solito, ma in questo caso si presta a legittime interpretazioni negative.

Voucher lavoro occasionale: numeri assurdi

Nei primi sette mesi del 2016, sono stati venditi qualcosa come 84 milioni di voucher. In media, ogni cittadino, compresi i neonati e i novantenni, hanno usufruito di almeno un voucher. Ovviamente il calcolo “per capita” ha poco senso, dal momento che a un lavoratore può ricevere buoni lavoro potenzialmente infiniti. Anche perché, i voucher corrispondono, tutt’al più, a sei o sette ore lavorate.

Il sospetto, che con l’ulteriore gonfiarsi dei numeri diventa certezza, è pienamente legittimo: i voucher vengono utilizzati per sostituire il lavoro dipendente, regolarmente retribuito e sottoposto ad altrettanto regolare contratto (e relativo regime fiscale). Piuttosto, vengono utilizzati per avere un pieno controllo sul lavoratore, per decidere in maniera totalmente indolore quando escluderlo, quando beneficiare della sua professionalità, a prescindere dalle sue necessità minime e dai suoi diritti. E’ ovvio: licenziare un dipendente sotto contratto, anche con le recenti riforme, è sempre difficile. “Lincenziare” un lavoratore “sotto voucher” è davvero semplice: basta non comprare altri voucher.

In realtà, il pagamento in voucher è nato con uno scopo nobile e pienamente condivisibile: far emergere il lavoro nero, portarlo nell’alveo della legalità, sottoporlo a una tassazione benché minima. Il lavoro nero, infatti era (o è?) endemico in alcuni settori, soprattutto in quelli che prevedono strutturalmente un’occasionalità del lavoro. L’esempio tipico è quello delle badanti, ma non è certamente l’unico (in alcuni casi persino i giornalisti vengono pagati così).

Ecco, il pagamento in voucher servirebbe esattamente a questo: tassare quelle prestazioni lavorative che si distinguono per il loro carattere provvisorio. In linea teorica, sarebbero anche uno strumento di garanzia per il lavoratore, che in questo modo ha la certezza di avere pagato (il “nero” consente ai datori di lavoro di fare il bello e il cattivo tempo).

Purtroppo, e la crescita esponenziale dei numeri, non è andata esattamente così.

Voucher come funzionano

Il funzionamento dei voucher è molto semplice. I buoni si acquistano in tabaccheria, negli sportelli delle banche popolari, negli uffici postali e nelle sedi territoriali dell’INPS. Possono avere un valore di 10, 20, 50 euro. Il 75% del costo va al lavoratore, il 13% si trasforma in contributi previdenziali, il 7% va all’Inail per i contributi assicurativi, il 5% va al concessionario. Chi acquista i voucher, a prescindere dal valore di questi ultimi, deve versare 1,50 euro a titolo di commissione.

Il lavoratore che riceve il voucher può procedere all’incasso presso gli uffici postali entro un anno dal giorno dell’emissione. Può farlo anche online mediante l’InpsCard o tramite bonifico su un conto posizionato in un ufficio postale. Può farlo persino dal tabaccaio, se questo è autorizzato dall’ente previdenziale.