Il posto fisso è morto, o almeno questo si sente ripetere in giro. A scanso di equivoci, per tagliare la testa al toro o anche solo per mancanza di alternative, sono in molti a risolvere la questione aprendo la tanta famigerata partita Iva. La legislazione in Italia, nonostante le esigenze dei liberi professionisti e dei titolari di società non siano ancora soddisfatti in pieno, è migliorata negli ultimi anni. Nello specifico, sono stati istituiti due regimi distinti, che differiscono soprattutto per carico fiscale: il regime forfettario e il regime ordinario.
Innanzitutto, occorre sfatare un mito: aprire una partita Iva non è difficile come si crede, anzi. E’ sufficiente presentare domanda all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, portando con sé il documento di riconoscimento. In alternativa è possibile inviare la domanda con raccomandata A/R (allegando la fotocopia del documento di riconoscimento) o per via telematica. In quest’ultimo caso è necessario scaricare un software dal sito dell’Agenzia delle Entrate. La domanda va redatta sul modello AA9/7 – per le ditte individuali o i lavoratori autonomi – o sul modello AA7/7 – per le società.
Fondamentale, ai fini dell’apertura, è la scelta del codice Ateco, che identifica la propria professione. Infine, si dovrà scegliere il regime di contabilità. Come già anticipato, la scelta è tra la contabilità ordinaria e la forfettaria.
Una volta che la domanda è stata processata, si riceverà il numero della partita Iva, che è formato dalle celebri undici cifre: i primi 7 indicano il contribuente, i 3 seguenti il Codice dell’Ufficio delle Entrare, l’ultimo ha valore di controllo. L’ultimo passaggio consiste nell’apertura di una posizione previdenziale presso l’INPS.
Partita Iva costi di mantenimento: il regime ordinario
Il cosiddetto Regime di Contabilità Ordinaria è riservato a chi genere guadagna oltre una certa soglia, anche perché il carico fiscale è piuttosto pesante. Nello specifico, il contribuente dovrà versare un tributo alla Camera di Commercio, se svolge attività professionali che non prevedono in automatico l’iscrizione all’ente. Un’altra voce importante è l’Irpef, che si attesta in questo caso al 23%, a cui va aggiunta l’addizionale locale (2,06%). Va pagata anche l’Irap, che è pari al 4,19%.
Un chiarimento è d’obbligo. La base imponibile non va calcolata sul fatturato, bensì sul fatturato al netto delle spese e dei contributi previdenziali.
Partita Iva regime dei minimi: esiste ancora?
Il regime dei minimi non esiste più in quanto è stato sostituito dal “forfettario”. Quest’ultimo rileva e integra alcuni elementi positivi del predecessore. La caratteristiche principale è comunque la medesima:la tassazione agevolata. Può essere aperta dai professionisti i cui guadagni non raggiungano una certa soglia (30.000 euro annui) e che hanno un’età inferiore ai 35 anni.
In definitiva, il titolare di Partita Iva con regime forfettario dovrà versare l’imposta sostitutiva, che si attesta al 15%. Si tratta di un peggioramento rispetto al passato regime dei minimi che, fino al 2014, prevedeva un’aliquota del 5%.
La novità positiva consiste nella possibilità di prolungare il regime in maniera illimitata (posti i limiti di età). Le precedenti norme, infatti, obbligavano il lavoratore a passare dal regime dei minimi a quello ordinario dopo solo cinque anni.