Negli ultimi tempi, il termine outplacement è entrato a far parte del vocabolario comune di chi cerca lavoro. E’ uno strumento che sostiene il disoccupato nella ricerca di un posto di lavoro consono, nei limiti del possibile, alle sue competenze e alla sua professionalità. Diffuso in tutto il mondo, sebbene originario dei paesi anglosassoni, è regolato in Italia dal Ministero del Lavoro. Il suo nome ufficiale, abbastanza didascalico a dire il vero, è “supporto alla ricollocazione del personale”. Il suo scopo, d’altronde, è esattamente questo.
Outplacemente come funzione e a chi si rivolge
Lo strumento è abbastanza complesso in quanto differisce sotto vari punti di vista dal tradizionale servizio di collocamento. In primo luogo, va specificato il destinatario. Questi è non tanto il disoccupato in sé, quanto il futuro disoccupato, ossia il lavoratore in uscita da un’azienda. L’outplacement quindi rende un servizio molto utile, che contribuisce, seppure in misura variabile, a infoltire la già nutrita schiera di disoccupati (il livello di disoccupazione è molto in Italia).
A richiederlo non è il diretto interessato ma l’azienda che sta per licenziarlo. Le società terze che erogano concretamente il servizio, quindi, agiscono su loro esclusivo incarico. Questo particolare non deve stupire. Spesso, infatti, non si tratta di un atto di generosità, ma di un obbligo che le aziende prendono, ovviamente in forma scritta, con i sindacati. In alcuni casi, se licenziano un dipendente, devono occuparsi – indirettamente nella fattispecie – del suo ricollocamento.
Quali sono le attività di una società di outplacement che ha ricevuto un incarico dall’azienda licenziante? Offre consulenze particolari, fa un’analisi delle competenze, stabilisce con il lavoratore degli obiettivi professionali e ricerca offerte di lavoro coerenti con il profilo, le esperienze etc.
Percorso di outplacement: le attività nello specifico
Esistono due tipologie di outplacement. Individuale, se coinvolge un lavoratore per volta; collettivo, se coinvolge interi gruppi di lavoratori. La seconda tipologia è tipicamente frutto degli accordi sindacali: quando vi è un accordo sindacale, l’outplacement è in genere collettivo.
La prima tappa del percorso è il bilancio delle competenze. In questa fase il lavoratore ripercorre le sue esperienze professionali, analizza quanto ha appreso, riconosce le sue lacune e valuta i suoi punti di forza. L’obiettivo è rendere l’individuo consapevole dei propri mezzi.
Vi è poi lo sviluppo del cosiddetto “progetto professionale“, che consente nello stabilire i propri obiettivi professionali.
La terza fase è quella del coaching. E’ forse la più importante in quanto punta a fornire al lavoratore gli strumenti necessari a una presentazione di sé efficace. Viene curato l’eloquio, il linguaggio verbale etc.
Infine, la ricerca attiva. La società concretamente ricerca delle offerte lavorative coerenti con il profilo del lavoratore, e gliele sottopone.
Il consiglio per chi si appresta a vivere questa esperienza è fidarsi degli esperti che la società di outplacement mette a disposizione. La procedura è guidata ed è caratterizzata da alcuni passaggi che potrebbero apparire strani o inusuali. Da questo punto di vista, è essenziale che il lavoratore si ponga con la massima disponibilità, senza frapporre fra sé e i consulenti un muro di diffidenza o scetticismo.