9 miti da sfatare sul Terzo Settore

terzo settore

Definire il Terzo Settore non poi così semplice. Basti pensare che tale locuzione ha dovuto aspettare decenni prima di trovare una definizione giuridica nell’ordinamento italiano (il riferimento è alla legge 106 del 2016).

In sintesi, si può definire Terzo Settore l’insieme di enti che non sono riconducibili ne allo Stato né alle logiche di mercato ma che, di contro, agiscono con finalità che sono principalmente etiche. Del Terzo Settore fanno parte le organizzazioni non profit, il volontario puro e semplice, le cooperative sociale e, in linea di massima, tutte quelle realtà che antepongono un fine nobile, in qualche modo etico, al mero lucro.

Il Terzo Settore è in espansione e lo è in virtù di due dinamiche: la crescente consapevolezza etica del cittadino medio, la diminuzione costante dell’intervento dello Stato nell’economia. Molto spesso, infatti, gli enti facenti parte del Terzo Settore si occupano di integrare un servizio pubblico, specie laddove, per carenza di risorse statali, vi è il rischio che un diritto individuale o sociale non venga rispettato.

Nonostante la diffusione del Terzo Settore, esso è soggetto a svariati luoghi comuni che ne compromettono l’immagine. E’ utile, quindi, 9 miti da sfatare sul Terzo Settore.

Lavorare  Terzo Settore gratis? Una scelta non a perdere

Si lavora gratis. Questo è il pregiudizio più grave e invalidante perché allontana in automatico molti possibili collaboratori. La verità è tutt’altra: certo, le organizzazioni di volontariato hanno un peso notevole, ma nella maggior parte dei casi i lavoratori del Terzo Settore sono lavoratori nel vero senso della parole, e quindi sono retribuiti equamente. E’ Non Profit l’azienda, non necessariamente il lavoratore.

Vi lavora solo chi è escluso dal mondo del lavoro. Vi è la convinzione che il Terzo Settore, e il Non Profit in generale, sia una scelta di serie B. Questo non è vero, anche perché buona parte degli enti offre servizi complessi e ha dalla sua parte professionisti molto capaci. E poi c’è la questione etica, che contribuisce a rendere più nobile il tutto.

E’ come un anno sabbatico, nuoce alla carriera. Chi lavora nel Terzo Settore non sta fermo. Semplicemente… Lavora. L’unica differenza è che la realtà per cui lavora ha una finalità diversa. Anzi, per alcuni giovani, soprattutto se agli inizi, un’esperienza lavorativa nel Terzo Settore è un potente trampolino di lancio. Ancora più potente del classico stage.

E’ ambiente sereno. Non necessariamente. Il discorso è sempre lo stesso. Cambia la finalità, non le dinamiche interne. Ci sono quindi ambienti di lavoro sereni e ambienti di lavoro meno sereni, proprio come in tutti gli ambiti.

E’ disorganizzato e inefficiente. Questo pregiudizio deriva dal convincimento – falso – che a lavorare siano solo i volontari, che manchino risorse etc. In media, non vi sono differenze di sorta rispetto al lavoro pubblico o aziendale.

Si deve essere allegri per forza per lavorare nel Terzo Settore. E’ preferibile che, chi lavora per una finalità “ultima” nobile, e coincidente con l’aiutare il prossimo, sia solare, allegro, socievole. Tuttavia ciò non vale per tutti, bensì solo per chi deve approcciarsi direttamente con le persone.

Il Non Profit è di sinistra? Non necessariamente

E’ un ricettacolo di comunisti. Le Non Profit non sono di destra né di sinistra. Semplicemente, almeno nella maggior parte dei casi, sostituiscono l’intervento pubblico nell’erogazione dei servizi.

Serve pelo sullo stomaco. L’idea di base è che gli enti del Terzo Settore lavorino con disagiati, poveri, malati etc. Accade spesso ma non sempre. Alcuni enti lavorano in ambiti diversi, meno problematici.

Non serve un curriculum per lavorare. Questo è profondamente sbagliato. Sono organizzazioni come le altre e necessitano di competenze qualificate.