Il grado di civiltà di una società si evince anche dalla quantità e dalla qualità di tutele che riserva alle fasce deboli. Tra queste, spiccano le lavoratrici in gravidanza. Molte donne non lo sanno, o non conoscono l’argomento a fondo, ma l’ordinamento italiano assegna loro dei diritti specifici quando sono in gravidanza e in maternità. Ecco una panoramica sulle tutele per le lavoratrici in gravidanza e dopo il parto.
Lavorare in gravidanza: i riferimenti normativi
Lo stato di gravidanza e di maternità è stato disciplinato in maniera accurata non molti anni fa. Il riferimento è al “Testo unico a tutela della maternità e paternità“, presente in Gazzetta Ufficiale con il nome “D. Lgs. n. 151/2001”.
Questa normativa stabilisce i congedi, i riposi, i permessi e in generale le tutele a cui hanno diritto non solo le donne che stanno per partorire o hanno già partorito, ma anche – ed è questa la novità del testo – anche i neo-papà.
La ratio della legge è molto semplice: offrire garanzie di sicurezza e una parità di diritti rispetto ai lavoratori “normali”, nonostante un impegno gravoso – per quanto lieto – come è la gestione di una nascita e del neonato.
Le tutele durante la gravidanza e la maternità
Una parte importante del testo è la disciplina dei congedi. Nello specifico, le donne hanno diritto al congedo, quindi si possono assentare dal lavoro nei due mesi precedenti alla data (presunta, ovviamente) del parto e nei tre mesi successivi.
Interessanti sono anche le norme che riguardano la valutazione dei rischi, il divieto di assegnare la lavoratrici a mansioni “proibite”, il divieto dell’attività lavorativa notturna, i casi in cui viene esteso il congedo di maternità.
Per quanto concerne il primo punto, ossa la valutazione dei rischi, il testo obbliga, molto banalmente, il datore di lavoro a valutare i rischi connessi all’attività di lavoro della donna incinta, soprattutto quelli, potenziali, che possono scaturire dal contatto con agenti chimici, fisici e biologici. Una volta eseguita questa valutazione, questa deve essere inoltrata ai rappresentati per la sicurezza e deve essere accompagnata da eventuali misure preventive. Una precisazione: per rischi si intendono anche quelli che hanno a che fare con lo stress lavorativo.
Il testo fa esplicito riferimento alle attività vietate in gravidanza, ossia a quelle che mettono a rischio la gravidanza stessa. Ecco una lista esaustiva:
- Attività che prevedono la posizione in piedi per più di metà dell’orario di lavoro
- Attività su scale e impalcature, siano esse mobili o fisse (pericolo di caduta)
- Attività con macchine mosse a pedali, se il ritmo richiede l’ingente consumo di energie fisiche
- Attività con macchine che producono vibrazioni eccessive
- Attività che prevedono l’uso di mezzi di locomozione potenzialmente pericolosi (automobili, vetture a quattro e due ruote)
- Attività che espongono a temperature troppo basse (es. magazzini refrigeranti) o temperatura troppo alte (forni, stiratura etc.)
L’estensione del congedo di maternità, sia prima che dopo il parto, è riservata alle lavoratrici che soffrono di problemi di gestazione o vanno incontro a complicanze, anche psicologiche (depressione post-partum), nel primo periodo di maternità.
Infine, va segnalata la possibilità di usufruire di permessi speciali, se la lavoratrice ha in affidamento, perché madre o affidataria, un bambino al di sotto dei tre anni. Nello specifico, la tutela prevede il divieto di prestare attività lavorativa notturna.