Il Contratto a Tutele Crescenti è precario? Ecco tutto ciò che c’è da sapere

tutele crescenti

Il contratto a tutele crescenti, previsto dal Jobs Act, rappresenta un sostituto delle precedenti tipologie di contratto, quali quelli a chiamata o a progetto ed è entrato in vigore dal 7 marzo 2015. Chiaramente la legge per il contratto a tutele crescente non gode di retroattività, per cui tutti i contratti stipulati fino al 6 marzo 2015 non possono rientrarvi. Il contratto a tutele crescenti riguarda esclusivamente i lavori del settore privato, escludendo quelli del settore pubblico, del settore domestico e sportivo nonché i lavoratori in prova o in età pensionabile.

Il contratto a tutele crescenti

Lo scopo del contratto a tutele crescenti è quello di fornire garanzie reali ai lavoratori (garanzie che mancano, per esempio, nello stage).

Il vantaggio dell’assunzione a tutele crescenti per le aziende è rappresentato dallo sgravio fiscale per tre anni, il cui importo andrà a carico dello Stato.

È importante ricordare che, nel caso specifico dei neoasssunti, il contratto a tutele crescenti esclude la possibilità dell’utilizzo dell’articolo 18, ovvero del diritto al reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato. L’eccezione è rappresentato dai casi di licenziamento discriminatorio o disciplinare. Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti interessa i lavoratori che, nel corso dei 6 mesi precedenti l’assunzione, non abbiano prestato lavoro dipendente con contratto a tempo indeterminato. Lo sgravio fiscale è di 3 anni senza contributi da versare, tranne l’INAIL. Tale tipologia esclude i contratti di lavoro domestico e di apprendistato.

In caso di licenziamento discriminatorio, intimato in forma orale o nullo anche in questa tipologia di contratto (come in quelle precedenti) è possibile il reintegro. Il lavoratore, in sua sostituzione, ha diritto a chiedere il 15 mensilità, a partire dall’ultima retribuzione utile per il calcolo TFR.

Licenziamento e tutele crescenti: un binomio preoccupante

Il contratto a tutele crescenti ha invece stravolto il modus operandi per i licenziamenti per giusta causa, cambiando drasticamente la tutela reale, le sanzioni e gli obblighi del datore di lavoro. Nei precedenti casi, nell’eventualità della mancata sussistenza della giusta causa, il giudice avviava il reintegro e in tutti gli altri casi la sanzione risarcitoria.

Il contratto a tutele crescenti ha altresì rivoluzionato il licenziamento con vizi procedurali, la cui sanzione viene adesso ricalcolata come indennità, non assoggettata a contribuzione. In precedenza vigeva la sola tutela risarcitoria, non il reintegro.

Il contratto a tutele crescenti non stravolge invece la revoca del licenziamento, la cui modalità rimane dunque inalterata. Continuano dunque a non essere previste sanzioni e al dipendente continua a spettare la retribuzione del periodo precedente la revoca.

Il contratto a tutele crescenti inserisce inoltre una nuova ipotesi di conciliazione volontaria; mentre in precedenza bisognava fare riferimento alla precedura riferita dalla legge n. 92 del 2012.

L’articolo 7 e l’articolo 8 del contratto a tutele crescenti introducono inoltre nuove disposizioni in materia di computo dell’anzianità negli appalti e dell’indennità per frazioni di anno.

Per le piccole aziende (nello specifico quelle fino a 15 dipendenti) e per le organizzazioni di tendenza l’articolo 9 del contratto a tutele crescenti stabilisce la non applicabilità della tutela reale.

Il contratto a tutele crescenti inserisce altresì nuove normative in materia di licenziamento collettivo e norme processuali applicabili.