La disoccupazione non è causata solo dalla crisi economica, dalla mancanza di domanda, dai problemi finanziari e così via. Può avere anche una causa nobile, almeno sulla carta. La tecnologia, per esempio. In questo caso si parla di disoccupazione tecnologica. Un individuo impara un mestiere, si specializza, magari sa fare solo quello. Poi viene brevettata una tecnologia che permette a una macchina di compiere quelle stesse attività, sicché si trova senza lavoro e con la necessità di reinventarsi.
L’antico legame tra disoccupazione e tecnologia
Il fenomeno ha subito una accelerazione negli ultimi tempi ma non è affatto nuovo. Di episodi del genere è piena la storia dell’uomo. A medioevo appena concluso, la stampa a caratteri mobili ha sostituito gli amanuensi, qualche secolo dopo i tessitori sono stati sostituiti dalle macchine, nel ventesimo secolo (giusto per citarne uno dei tanti episodi) chi costruiva macchine da scrivere è stato spazzato via dalla diffusione del computer.
Si potrebbe continuare all’infinito con questi esempi. Nondimeno, il fenomeno ha acquisito dimensioni notevoli, persino endemiche, negli ultimi anni. Il progresso tecnologico, anzi digitale, prosegue a un ritmo troppo elevato, togliendo di fatti il terreno da sotto i piedi anche ai lavoratori più formati.
La speranza risiede in una compensazione, che però non è del tutto automatica. E’ vero che l’evoluzione del digital mentre distrugge posti di lavoro ne crea di nuovi, ma la sensazione è che il ricambio non avvenga in una misura sufficiente. Quindi, cosa deve fare il singolo per sopravvivere in una situazione di questo tipo e allontanare lo spettro della disoccupazione tecnologica?
Innovazione tecnologica e disoccupazione: consigli per sopravvivere
Il rimedio più efficace, per quanto difficile da adottare, risponde al nome di “formazione continua“. E’ finito il tempo in cui il lavoratore imparava un mestiere e si limitava a praticarlo. Oggi è necessario imparare giorno dopo giorno, aggiornarsi costantemente e regolarmente. Ciò vale per tutti ma a maggior ragione per chi lavora nel digital o nell’informatica.
Un altro consiglio è maturare una forma mentis adatta al contesto, che quindi non consideri il cambiamento come un fatto negativo ma come un elemento inevitabile e persino auspicabile. E’ necessario educare se stessi alla flessibilità (che non deve voler dire precarietà).
Un consiglio per i giovani che ancora studiano e devono decidere l’indirizzo universitario è fare i conti fin da subito con il rischio di disoccupazione tecnologica. Dovrebbero seguire, più che il cuore, un principio di razionalità, quindi verificare se la professione a cui aspirano è a “rischio morte”. Tra le professioni che potrebbero scomparire ce ne sono alcuni che non prevedono formazione universitaria. il commesso, la cassiera, gli sportellisti… In generale sono a rischio i mestieri che riguardano la vendita al dettaglio (sempre più preda dell’e-ecommerce).
Analogamente, le professioni in crescita non si limitano all’analista, al programmatore di app etc. Figurano, in questa categoria, anche i badanti e i medici.